immigrazione oggi

Di seguito alcuni pensieri tratti dalla mia tesi di criminologia sul progetto di accoglienza degli immigrati in Italia e il rischio di vittimizzazione secondaria, e aggiungo adesso: che comporta un aumento della criminalità soprattutto di stampo mafioso o altrimenti organizzata (per es. traffico di esseri umani, traffico di droga, prostituzione) – ripeto: tutto ciò potrebbe essere il rischio che deriva dall’impiego errato dei fondi destinati all’accoglienza, al modo sbagliato di gestire l’immigrazione e non dai numeri della stessa.

I temi, sono solo delle opportunità di riflessione, offrono spunti, forse provocano emozioni o sentimenti anche oppositivi così come lo provoca il tema che non è neutro, ci si schiera da un lato o dall’altro: accoglienza si – accoglienza no. Purtroppo in questa diatriba si perdono di vista le persone, gli esseri umani e i diritti di ciascuno. Con il rischio di diventare solo pedine mosse dai poteri centrali per accaparrarsi un voto e non per pensare effettivamente al benessere né degli immigrati nè delle popolazioni autoctone. Strumentalizzati, ecco cosa possiamo diventare, strumenti non pensanti. Non ne sto facendo una questione di destra o di sinistra, non è politica. E’ come viene gestito il governo e come i canali di informazione si adeguino al sistema . Per questo diventa importante utilizzare degli spazi per pensare, con la propria testa, imparare a confrontarsi senza sentirsi giudicati né umiliati o aggrediti verbalmente. Uno spazio di parola.

Immigrazione, oggi. “Questione assai dibattuta, tirata per i capelli da tutte le forze politiche, ognuna per mettere in risalto le proprie idee e i propri valori. Ad oggi si continua a parlare di immigrazione secondo il sentire individuale di ciascuno a secondo delle ultime notizie e dal proprio punto di vista politico, della corrente che segue. Non ho usato i termini a caso: segue significa che “gli va dietro” non che l’ha adottata con estrema consapevolezza, le ultime notizie appartengono spesso ad un desiderio trasformativo del pensiero della popolazione perché le parole e il loro uso condizionano e creano la realtà alla quale apparteniamo senza consentire il più delle volte lo svilupparsi di un pensiero critico. Critico non significa essere o non essere d’accordo, significa saper scremare le notizie inserendole in un contesto culturale.

La mia tesi prende avvio sia dalla mia esperienza professionale nel mondo del sociale in genere, e nel contesto dell’accoglienza per immigrati, e dalla mia vita privata. Voglio contribuire a questa riflessione, con una mia risposta assolutamente personale che non vuole essere una soluzione ma una strada che porti ad un miglioramento della nostra società, a partire da un aspetto culturale che in questo momento storico è molto dibattuto.

La nostra storia come paese di accoglienza è molto limitata, e recente, per questo la fretta non ci ha aiutati a fare una transizione, un cambiamento culturale, sembra però che molta attività di informazione e politica abbiano utilizzato a proprio vantaggio questa accelerazione del processo per impedire una naturale trasformazione. Anzi la trasformazione è stata bloccata in molti casi facendo leva sulla paura.

L’attuale politica rivolta agli immigrati è strutturata in maniera tale da investire le risorse in maniera disfunzionale rispetto ai bisogni creando delle gestioni non rispettose di questi. Le persone che accedono ai progetti di accoglienza trovano dei parziali aiuti e finiscono per trovare il macchinoso sistema legislativo italiano non adeguato alle loro esigenze generando sentimenti di disagio.

Vengono destinati molti fondi all’immigrazione, in ottemperanza anche agli accordi e alle linee guida europee, ma questi fondi hanno poi una progettualità gestionale che va, o rischia , suo malgrado, di rinforzare distanze e differenze creando nella popolazione di accoglienza diffidenza, rabbia e disvalore. Creano invece nell’immigrato sofferenza, rabbia, rifiuto e un senso di ingiustizia che rinforzano la sua vittimizzazione.

Questo fa sì che le risorse pubbliche siano alla fine del processo, effettivamente “sprecate”, ma questo va nella direzione di alimentare la domanda di controllo, repressione e contenimento da parte della popolazione autoctona.

Che sia questo il vero obiettivo cercato dalla politica?

Motivare i respingimenti come l’unica risposta per salvare la nostra Italia? Ignorare le politiche repressive e lesive della dignità umana attuate in Libia 1, o altrove, per poter evitare che la popolazione acquisisca consapevolezze tali da impedire certi orientamenti della politica? Convincere i cittadini autoctoni che le questioni degli emigrati non li riguardano perché lontani?

Perché invece non parlare di come potrebbero essere spesi diversamente i soldi pubblici a garanzia della gente, della società tutta, senza necessariamente tenere gruppi isolati in modo da renderli così evidenti agli occhi degli autoctoni che così possano tenere la distanza?

Oggi creiamo la “doppia assenza” 2 anziché occuparci di far nascere la doppia appartenenza?

E questo crea allarmismi sociali, paura, diffidenza, estraneità, vittimizzazioni della popolazione che nel caso di immigrati diventa una vittimizzazione secondaria, producendo rischi effettivi. Diventa una profezia che si autoavvera3

Il ragionamento dovrebbe includere una parte di conoscenza dei passaggi legislativi fatti in Italia e in Europa per arrivare al quadro normativo odierno.

Omettendo questa parte possiamo analizzare dei passaggi critici dell’evoluzione per motivare i rischi connessi con l’attuale progettualità di accoglienza, esito ultimo, per ora, di un percorso che prende in esame tanti aspetti in questi anni, ma si sofferma poco su alcuni punti di rilevanza fondamentale per una armonia civile e dignitosa delle popolazioni: le differenze che esistono e che devono essere prese in considerazione affinché si possa veramente parlare di integrazione e relazione/interazione, differenze culturali e di storia che ci rendono tutte persone uguali per dignità ma diverse per bisogni umani, non superiori o inferiori, semplicemente diversi come ogni essere umano è diverso dall’altro perché unico”.

…” Solo chi ha potuto accedere ad altri canali informativi meno di massa, ha potuto sviluppare un pensiero critico di maggiore spessore, ma resta una minoranza. Alla ribalta delle cronache nel sociale resta lo scandalo, il fatto che fa notizia e che attira l’attenzione pubblica, soprattutto in negativo, ma spesso senza una effettiva capacità di fornire risposte coerenti e non contraddittorie. Facciamo l’esempio degli immigrati che sbarcano nei nostri paesi: ci si rivolge a loro come dei ladri di lavoro, come dei possibili delinquenti, come dei terroristi, ma al contempo, quando si rovesciano dei barconi vengono mostrate le immagini di bambini morti nel naufragio, padri o madri disperati che portano in braccio i loro figli morti.

Si fa leva sul sentimento del momento ma non si collegano i fatti, le storie, non si argomenta in modo costruttivo e riflessivo, non si mostrano le due facce della medaglia e il loro collegamento

E’ normale che si condannino gli atti illegali quali stupri, femminicidio, violenza sui bambini, ma poi al contempo si condannano acriticamente le comunità, i servizi di tutela, perché siamo abituati a vedere attraverso i canali d’informazione le comunità che rubano i soldi, che non funzionano e trattano male i loro ospiti, o le assistenti sociali “che rubano i bambini” 4. Non si parla del duro lavoro e non si legittima il lavoro che viene svolto per salvare una vita umana, non si parla di debellare la criminalità, ma si criminalizzano gli immigrati, oppure chi li aiuta, a seconda di come tiri il vento. La popolazione non vuole vedere. In realtà non si parla neanche dei vantaggi economici che comporta l’accoglienza di immigrati. E parlo ovviamente di vantaggi legali.

Tutto questo fa sì che le risposte anche legislative possano poi seguire un percorso autonomo e slegato dalla possibilità di dare vere risposte ai bisogni delle persone, risposte che ’possano garantire o almeno aumentare le possibilità di migliorare la salute pubblica.

Perché di questo si sta parlando: salute pubblica. La nostra società si sta ammalando, e lo fa grazie ad una campagna di disinformazione o cattiva informazione che favorisce e sostiene poi l’accettazione o l’emanazione di leggi che perpetuano lo status quo invece che andarlo a migliorare. O, peggio, si propaganda il miglioramento solo attraverso una certa politica, nello specifico di repressione o controllo.

Esiste una distanza che alla luce degli anni, mi sembra sempre più incolmabile, fra chi ha il potere decisionale e legislativo e chi opera alla base, chi ha le mani in pasta, e usa un sapere scientifico e culturale che tuttavia non ha canali per farsi ascoltare o chi dovrebbe ascoltare non ha capacità o volontà di farlo.

Questa distanza esiste anche all’interno delle istituzione e fra le istituzioni, siano esse pubbliche o private, perché la scarsità delle risorse messe a disposizione, la settorialità con cui vengono distribuite, rinforza la separazione e la competizione, modello occidentale della concorrenza, anziché rinforzare il lavoro di rete e integrazione nonché ottimizzazione delle risorse, che solo potrebbe garantire la buona riuscita di un lavoro di natura sociale.

La non integrazione fra le istituzioni che lavorano con e per le persone, fa sì che la società ne venga frammentata.

La stessa logica di non integrazione fra gli enti produce la differenza dei gruppi sociali. Le fragilità sono spesso emarginate, isolate in quartieri dove emerge più il bisogno di controllo da parte delle forze dell’ordine che non una politica di integrazione 5

  • 1 Hannah Arendt, “La banalità del male “, Feltrinelli ed., 2015. La Arendt ci racconta, nella storia della persecuzione verso gli ebrei, di come questa sia avvenuta sotto gli occhi della popolazione, con modalità tali che si sono rese invisibili, che sono state giustificate, e alla fine sono rientrate nel “senso comune”, nella necessità “superiore”
  • 2 Abdelmalek Sayad, “La doppia assenza”, Raffaello Cortina ed. 2002
  • 3 Il concetto di profezia che si auto adempie, o si autoavvera, è stato introdotto in sociologia da Robert K. Merton nel 1948 nel suo libro Teoria e struttura sociale per indicare quei casi in cui una supposizione – per il solo fatto di essere creduta vera – alla fine si realizza, confermando la propria veridicità seppur inizialmente infondata

4 S. Cirillo, M.V. Cipolloni, “L’assistente sociale ruba i bambini”, Cortina ed. 1996

5 A. Ceretti, R. Cornelli, “oltre la Paura, cinque riflessioni su criminalità, società e politica”, Ed. Feltrinelli, Mi, 2013